Parco del Valentino, quello dove si incontrava il tipo con la Piemontesina bella di questa canzone qua
Parco del Valentino: una delle prime cose che ti portano a visitare da turista a Torino –true story– Un nome maschio e virile che sta ad indicare il parco più significativo della città (perché poi ce ne sono altri 150 sparsi per ogni dove. Torino è green e non è mica una metafora per dire che è sensibile all’ambiente).
Parco del Valentino dunque, l’oasi della gioventù torinese, meta delle giornate di sole…
Ecco, se stiamo a fossilizzarci sull’ultima parte della frase, ci dovremmo immaginare un pantano di fango con fili d’erba inzuppati di pioggia…vuoto.
Perché? Perché a Torino non esistono molte giornate di sole.
Beh diciamo che il Valentino non è proprio frequentatissimo nella stagione fredda –non stiamo a puntualizzare che questa cosìddetta stagione si allarga più o meno da fine settembre a…fine maggio–
Però, però… abbandoniamo questa parentesi estesa durante la quale l’attività commerciale più in voga nel parco è… lo spaccio.
Siamo a Giugno.
Parco del Valentino, che cosa ci offri?
Un’invasione
- Un frisbee ci si annida nei capelli.
- Un pallone ci becca in piena faccia.
- Un funambolo ci precipita sulla spina dorsale.
- Un cane ci piscia le scarpe nuove.
Impossibile camminare sull’erba, perché il rischio di pestare un telo o qualche hippy è altissimo.
Mancano solo gli ombrelloni da spiaggia e siamo al mare.
Peccato che manchino anche la spiaggia. E il mare.
La prima volta che sono andata al Valentino,
quando questo era davvero il parco della città con bel tempo e tutto, ho sentito la sardità che è in me ridere e poi strapparsi i capelli.
-che cos’è questa scena?-ho chiesto al mio amico.
E la risposta ha mandato a stendere me, la mia sardità, la lacrimuccia da nostalgica di calette e tutto il resto.
-Simonetta, è che noi non ce l’abbiamo la spiaggia. Cosa dovremmo fare?-
Piccolo torinese sperduto, che di inverno sogni il mare e d’estate pure… perdono. C’hai ragione tu, morto di pallidume e muffa per più della metà dell’anno. Tu, che hai passato i mesi a contare le gocce di pioggia sul vetro della finestra e a farti esaltare dall’odore della neve per non suicidarti.
Ripeto, c’hai ragione tu.
Gioca pure con il secchiello sul tuo metro di terra. Ti presto anche il mio rastrello.
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