LOVERS: un nuovo nome per un nuovo festival.

Il cambio di immagine di questa edizione è evidente e anche il suo significato è chiaro, ma vorremo discuterne con chi l’ha curata e con chi, per certi versi, personifica questo cambio di direzione. Irene Dionisio: giovanissima, eterosessuale, convinta che l’inclusione sia la chiave per abbattere le barriere.

T: Innanzitutto: cosa è cambiato e cosa resta del passato?

I: Resta l’intento e resta la struttura principale. La copresenza con il presidente, Giovanni Minerba, è stata un’occasione di arricchimento e di unione della tradizione con la novità. Il festival resta un festival tematico, ma vuole includere un nuovo pubblico e diventare un fenomeno più ampio e più inclusivo.

Resta invariata la struttura del concorso: abbiamo tenuto la commistione con la musica, presente prima e dopo le proiezioni, e reintrodotto la sezione del documentario, come occasione per introdurre temi importanti su cui discutere attraverso i Lovers Talk disseminati lungo il festival.

Aumenta l’internazionalità, con anteprime nazionali, e mondiali e film provenienti dai maggiori festival internazionali di cinema indipendente, come il Tribeca, il Sundance, BFI Flare e quelli di Cannes o di Berlino.

T: Queering the Borders è il vostro slogan: un collegamento con quello Salone del Libro viene naturale e i punti in comune, in effetti, sono molti. Dalla consistente presenza OFF alla natura rivoluzionaria della nuova comunicazione. La similitudine tra i vostri due slogan è una casualità, una cosa voluta o forse una semplice conseguenza del clima storico in cui stiamo vivendo?

I: Sicuramente è anche un frutto della forte ghettizzazione che si percepisce nel presente e quindi di una sensazione comune riguardo alla necessità di superare barriere. Naturalmente è anche una filosofia che ci identifica da sempre. Abbiamo scelto di usare la parola “queer” (“frocio” in inglese, n.d.r.) per chiarire che intendiamo “mandare all’aria le frontiere”, riconoscendoci nel clima giocoso, provocatorio ed esplosivo del Pride. Siamo un festival militante e arcobaleno. Questo non cambia.

Per quanto riguarda il Salone del Libro e Nicola Lagioia, c’è effettivamente una linea di pensiero comune, che ha portato anche a una collaborazione e a una Borsa LGBTQI, insieme anche al Torino Film Lab. Anche con Artissima abbiamo avviato la collaborazione che ha portato alla categoria Iconoclasta.

Si sta creando una rete prolifica, a cui teniamo molto e che ci fa ben sperare per il futuro.

T: Un festival quindi che si apre non solo a un più ampio pubblico, ma anche a un più ampio spettro di discipline?

I: Sicuramente. Il festival è principalmente una rassegna cinematografica, ma con gli Eventi Off e i Lovers Debates intendiamo dare all’evento un taglio sempre più trasversale, che attraversi più discipline e che diventi un momento di discussione sul tema della geografia sessuale in sfere sempre più ampie.

T: Barriere che cadono, quindi, in molti sensi. E forse in entrambe le direzioni: si è fatto un certo parlare del fatto che sia tu, donna eterosessuale, a dirigere un festival dedicato al mondo LGBTQI…

I: Se n’è parlato, sì. Ha riscosso anche alcune perplessità. Tuttavia l’eterosessualità non è un’etichetta in cui mi sento di identificarmi: la sessualità è una cosa fluida, temporanea. Donna, sì: in questo credo di farmi portavoce di una categoria che conosce bene discriminazioni simili a quelle a cui è soggetta la comunità transgender, bi e omosessuale.

Ad ogni modo, il direttore è un coordinatore: non è il festival, né il suo unico organizzatore. La squadra è LGBTQI, il programma è quel che ci sta a cuore. Il programma è il festival. Non il suo direttore.


T: I contorni si fanno sempre più sottili, quindi, il che sembra un segnale incoraggiante per il messaggio di cui siete tramite. In questo clima di inclusione, però, occorre comunque che voi fissiate dei limiti, per la selezione dei film in concorso e in programmazione. Quali sono i criteri?

I: La selezione è un forte equilibrio tra qualità cinematografica e identità arcobaleno. La consapevolezza autoriale e la potenza dei film, che sono 83, molto forti e provenienti da Festival molto importanti a livello internazionale, erano una discriminante fondamentale. Così come, ovviamente, la componente del contenuto, attraverso il quale risalta la tematicità del concorso e del festival.

T: Una domanda scomoda, forse, per chi oggi dirige il festival: sogni un futuro in cui non esiste?

I: No. Credo ce ne sarà bisogno e che in 30 anni di edizione siamo arrivati a questo punto, ma non si possa sapere dove arriveremo fra altri 30. Di strada ce n’è ancora molta e di polemiche se ne fanno ancora, a dimostrazione che il tema è attualissimo. Un festival militante deve stimolare dibattito e suscitare polemiche: è la sua natura.

T: Forse polemiche, paradossalmente, più al di qua della barriera, che al di là.

I: In effetti c’è stato chi ha avuto paura di veder snaturato un festival in cui la comunità LGBTQI si riconosce da lungo tempo e devo dire che sono stata sollevata di vedere che il programma, comunque, sembra aver dissipato questi timori e convinto riguardo alla natura invariata dei nostri intenti.

 T: Qual è l’innovazione che si legge invece nel nuovo nome?

I: “Lovers” significa amante, nel senso di appassionato e nel senso di sex partner. Identifica l’amore per il cinema e anche la stessa comunità LGBTQI (acronimo rinnovato in questa edizione a includere anche Queer/Questioning e Intersex, oltre a Lesbian, Gay, Bisex e Transgender).

L’obiettivo è creare un festival dall’identità e dal pubblico molteplice, non autoreferenziale, che superi frontiere e categorizzazioni riguardo a ogni tipo di sessualità e identità.

Turinoise ama molto questa nuova immagine del festival: “queer” come le piume rosa, naturale come un fenicottero.
Non possiamo che farvi un enorme in bocca al lupo e seguire con enorme interesse il festival.

 

Fatelo anche voi!

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